In attesa di Milan-Juve, Pietro Cartolano ci aiuta a rileggere il match dell’Olimpico in chiave tattica.
Il Milan non è nulla di più della Lazio di sabato sera e la Lazio di sabato sera non è nulla di più del Milan. Inzaghi e Pioli, il fallimento della grinta.
Le tre partite a settimana e i mille impegni non mi permettono di commentare insieme a voi ogni partita, ma vi anticipo che le critiche che leggerete di seguito le avrei volute scrivere già dopo la gara contro la Roma. Sarebbe stato da grande intenditore, vista la successiva partitaccia contro la SPAL. La vittoria contro la Lazio, quella che in molti definiscono la miglior partita della stagione, ci riporta alla stessa situazione. Godere è lecito, analizzare è doveroso.
Contro la Roma, dopo undici minuti avrei voluto spegnere la televisione. In questo brevissimo lasso di tempo, sette lanci lunghi verso Rebic hanno rappresentato la super idea di gioco del super Milan di Pioli. Spiegatemi come sia possibile impostare una partita così. Ho reali difficoltà a capire quale ragionamento sia stato attivato in settimana per proporre le verticalizzazioni contro Smalling e Mancini. È anche vero che il Milan ha vinto e che abbiamo dormito felici per una notte, ma qualcosa mi tormentava. Infatti contro la SPAL la prestazione è stata a tratti imbarazzante. Il calo di tensione mentale ha evidenziato le effettive qualità dei singoli e del gioco in generale.
La SPAL, la Lazio come il Milan non hanno precise idee di gioco; le vittorie derivano dalla qualità dei singoli per la Lazio e dalla grinta/voglia per la SPAL. In questa enorme valle di mediocrità, almeno la Roma ha dei principi di gioco: in fase di impostazione, i due centrali scivolano e Veretout diventa il terzo difensore a sinistra per avere spazio nell’impostazione, i due terzini diventano ali e bloccano i terzini avversari, le due ali si accentrano per fare gioco e mettere in mostra le proprie qualità, incastrando i centrocampisti avversari oppure obbligando i centrali difensivi a uscire. Ecco, poi gli interpreti non sembrano credere ciecamente nel progetto e i risultati si vedono, ma la vita è questa: si parte da una idea e delle capacità. Solo in questo modo può nascere qualcosa di vincente, e non è detto che lo sia già al primo anno.
Ecco perché la Lazio vince alcune partite, ma non vincerà lo scudetto: ha solo capacità e pochissime idee. Ha la capacità di giocare corto con Luis Alberto, Correa, lungo con Milinkovic-Savic e Immobile, sulle fasce con i terzini, ma senza questi interpreti svanisce la magia. Nell’Atalanta, per esempio, tutto ciò non esiste: ogni giocatore deve interpretare un ruolo che lo migliora come singolo all’interno di un progetto globale, quindi chiunque teoricamente potrebbe farne parte dopo un giusto quantitativo di allenamenti. Le differenze sono abissali.
La gara contro la Lazio, appunto, evidenzia come a parità di mediocrità dei giocatori alla fin fine vince chi ci mette un po’ di voglia e concentrazione in più (concetti che fanno parte della capacità). Ribadisco, però, che il Milan non vale molto di più della pessima Lazio (piena di assenze) che ha battuto. Di buono c’è la volontà di esprimersi da parte dei singoli. Un po’ tutti vogliono dimostrare di saper fare e alla fin fine qualcosa di positivo viene proposto. Nei giorni in cui viene continuamente osannato Pioli, io lo critico sempre per lo stesso motivo che – tra l’altro – lo accomuna a Inzaghi.
Ai nostri fedeli lettori un consiglio che proviene dal cuore: in questo mondo che vive all’istante, di impulso, senza riflessione, agendo prima ancora di analizzare, puntate alla qualità, alla riflessione, alla progettazione, alle idee. Sperando che da Milanello qualcuno ci ascolti.