Riflessioni. Proviamo a darci una risposta. O più di una.
Dopo Patrick Cutrone (dodici anni al Milan) anche un altro prodotto del calcio italiano supera i confini, destinazione Premier League. È Moise Kean, rivelazione dell’ultimo campionato in maglia Juve, nato a Vercelli, classe 2000, ceduto da Madama all’Everton per 30 milioni di euro. Manca l’annuncio ma l’accordo c’è, per la felicità del ragazzo che in Inghilterra trova una preziosa opportunità per crescere. Spazio e minutaggio che a Torino ha faticato a confermare nonostante un concatenarsi di prestazioni buone, più che buone, convincenti.
Le big italiane non amano il rischio e ci sta. Di nomi, di promettenti talenti sbocciati sui campi dei settori giovanili di mezza Italia se ne potrebbero elencare molti, di questi solo una manciata in tanti anni sono riusciti a lasciare un segno indelebile con le prime della classe. Meglio l’usato sicuro, la garra proveniente dal Sudamerica o le promesse dei campionati europei. Questione di appeal, probabilmente, di impatto sul business che ha sempre più inghiottito il mondo del calcio in un vortice senza fine. D’altronde – guardando in casa nostra – il più famoso trio vincente della storia rossonera era orange, non certo a tinte tricolori.
C’è chi vende perché le offerte sono proprio irrinunciabili (De Ligt dall’Ajax alla Juve per 75 milioni di euro è solo l’ultimo esempio) e c’è chi, come i dirigenti italiani, preferisce cedere all’estero nel nome delle plusvalenze. Anche svendendo. Il problema di fondo non sono i prezzi però e nemmeno la fuga senza sosta. Il problema è che spesso è un problema cedere al vicino di casa, alla sesta in classifica, all’ottava per intenderci, e paradossalmente è ancora più complicato cedere con la formula del prestito. Ci arriviamo. Incide il livello tecnico del campionato, la mancanza di humus adatto al miglioramento individuale ed è un cane che si morde la coda: senza talento, le squadre della side B non alzano mai il proprio livello competitivo e non riescono ad aggiungere così altro talento. All’estero, non ovunque, questo concetto funziona, e funziona bene.
Insegnano Spagna e Olanda, dalle categorie più alte a quelle meno importarti gelose dei propri giovani. Fare squadra per il bene dei nostri futuri campioni non è da noi. È “modo” ancora poco praticato. Meglio le plusvalenze subito. E così Cutro se ne va ai Wolves e Momo ai The Toffees. Cutrone in Premier troverà sicuramente in campo più minuti di quanti ne avrebbe collezionati al Milan, e per lui aumenterebbero le chance di una chiamata azzurra. Così come Kean, sul quale a Liverpool sono pronti a investire tempo ed energie. Il dubbio ragionevole è a monte: se lo fanno Wolverhampton ed Everton, perché non possono provarci – per dire – Genoa e Sampdoria? Forse, eccolo il vero problema, sono gli agenti, alcuni, i più influenti, i portatori del caos. Pensateci…