La rivincita di Stefano Pioli al Milan, che da normalizzatore si è trasformato in un allenatore vincente e dal gioco brillante. Lo chiamavano “il normalizzatore”. C’era un accento carico di disprezzo, come se essere normali è una qualcosa da nascondere. Stefano Pioli in due anni e mezzo di Milan si è scrollato via ogni appellativo. Ha fatto ricredere gli scettici. Se solo il calcio ai massimi livelli fosse anche nella sua gestione sul campo più normale, cioè meno speciale di quanto siamo abituati (male) ad assorbire ogni giorno, oggi magari non saremmo qui a elencarne i ripetuti difetti (il riferimento alla nazionale azzurra fuori dal Mondiale per la seconda edizione consecutiva è ovvio, scontato).
Con normalità, Stefano Pioli ha preso tra le mani le redini di un Milan ricco di talento, individualismi ma anche dal carattere fragile e l’ha reso gruppo, l’ha unito da educatore prima e da allenatore poi. Ha dato un’identità allo spogliatoio solo dopo averlo coperto di consapevolezza: per fare tanta strada serviva umiltà, lavoro e pazienza, abbassare il capo e attivare le gambe e la testa. Serviva fiducia. Gli esempi sono molti, uno su tutti Tonali e la sua crescita. Nell’evoluzione di Sandro c’è tanto di Stefano Pioli.
Il Milan di Pioli poteva facilmente trasformarsi in polveriera, il primo perché reduce da una gestione – quella di Giampaolo – a dir poco confusionaria, il secondo perché nel carattere più infiammabile (Rebic, Mandzukic, Ibrahimovic insieme, tre teste calde che il tecnico ha saputo amministrare con carisma e leggerezza, e non è da tutti riuscirci).
Pioli, così ha ribaltato il Milan, adesso testa alla corsa scudetto
Milan, Stefano Pioli intravede il tanto agognato traguardo scudetto
Così, oggi, il Milan vola in alto, spinto dal proprio equilibrio e dalla propria autostima. Se scali le prime salite senza arrenderti, superando i tuoi limiti un metro dopo l’altro, ogni nuova montagna non ti sembrerà più così difficile da aggredire. Il Milan di Pioli è cresciuto con questa mentalità, un metro dopo l’altro si è conquistato il proprio spazio e ora, convinto della forza che l’ha reso competitivo, si appresta ad affrontare l’ultima salita, la salita più importante.
Ancora otto tappe per raggiungere la vetta e un traguardo che a Milanello manca da undici primavere. Questa appena iniziata per Stefano Pioli è la primavera più importante della sua carriera. Può finalmente vincere il primo trofeo da allenatore in Serie A e può scrivere una pagina di storia rossonera raggiungendo Massimiliano Allegri, l’ultimo tecnico del Milan a sollevare al cielo lo scudetto.
Dopo averlo vinto con Ibrahimovic in campo, con Ibrahimovic in campo Max Allegri sfiorò anche il bis. Era la stagione 2011/2012, dieci anni fa. C’è un curioso collegamento tra quel campionato e quello attuale. Nelle ultime settimane, da aprile in poi, i rossoneri affrontarono in casa Fiorentina, Genoa, Bologna e Atalanta, stessi identici incroci oggi all’orizzonte. Proprio lì, davanti al pubblico amico quel Milan si giocò (male) lo scudetto: perse con i viola e pareggiò contro il Bologna. Il sogno si spense sprofondando dentro quei 180 minuti a San Siro. Pioli deve anche scacciare quei fantasmi, riuscire insomma a fare meglio di Allegri. La strada è lunga e tortuosa, ma prima dell’arrampica finale c’è un falsopiano (Bologna, Torino e Genoa) dove accelerare e aggiungere metri sulle dirette inseguitrici è quasi un obbligo. Si può fare. Pioli può farcela. Dall’alto della sua esperienza di “normalizzatore” ha tutte le carte in regola per riuscirci.