L’Italia non si qualifica al Mondiale per la seconda edizione consecutiva. Salterà il giro in Qatar a dicembre come saltò nel 2018 il giro in Russia…
Dalla conquista del titolo nel 2006 in Germania, davanti agli occhi solo un lento e costante crollo sportivo: fuori al primo turno nel 2010 in Sudafrica, bis quattro anni più tardi nel mondiale di scena in Brasile. Il trionfo all’Europeo della scorsa estate ci ha fatto credere che fossimo rientrati finalmente in canoni competitivi, lassù in vetta tra le principali forze calcistiche al mondo. Così non è stato. Il ct Roberto Mancini parla di fortuna trasformatasi in sfortuna da autunno ad oggi, cioè seguita al momento d’oro vissuto dai suoi, ma la radice del problema è da ricercarsi più nel profondo, dentro analisi che non accettano superficialità.
Se nei massimi campionati si privilegia l’arrivo di giocatori stranieri (prassi sostenuta anche da inopportune scelte politiche) e non si lavora costantemente sulla valorizzazione dei nostri giovani, qui forse perché – ecco l’altro disastro alla base – non c’è adeguata coordinazione con i settori giovanili, non ci si può certo meravigliare quando la nazionale maggiore sbatte contro avversarie di medio-basso carico tecnico (detto con molto rispetto per la Macedonia del Nord, che vanta però, per dirla tutta, il 46º posto nel ranking FIFA quale miglior piazzamento assoluto della sua storia). Nei club spagnoli, per citare sempre il solito esempio, prime squadre e vivai lavorano di pari passo, banalmente uniformando metodi di allenamento e schemi di gioco. In Serie A, la maggior parte delle Società scinde l’attività della squadra principale dalla programmazione delle formazioni giovanili.
Il problema sono i giocatori che non ci sono…
Questo nuovo flop sportivo degli azzurri di Mancini arriva sulla coda di una stagione europea sportivamente drammatica per i nostri club: la Juventus è uscita dalla Champions League agli ottavi di finale contro il Villareal, settima forza della Liga, l’Inter piegata in casa dal Liverpool e prima ancora nella fase a gironi dal Real Madrid. Per non parlare del Milan, out subito e con una sola vittoria in tasca di cui vantarsi per modo di dire, conquistata al Wanda Metropolitano di Madrid contro l’Atletico.
Altro punto su cui è dovere discutere: quanti sono i giocatori italiani titolari ai massimi vertici in Serie A? Per restare in casa Milan con fare autocritico ma costruttivo, ad esempio, nell’ultima sfida di campionato disputata a Cagliari Stefano Pioli ha schierato nell’undici di partenza un solo giocatore italiano, Davide Calabria.
Due su undici contro il Napoli al San Paolo: Calabria e Sandro Tonali. Tre ne ha presentati al fischio d’inizio la Juventus di Allegri contro la Salernitana: De Sciglio, Chiellini e Pellegrini. Un tempo la Juve era portabandiera dell’orgoglio italiano, ora un po’ meno.
Il Milan oggi conta due rossoneri in azzurro, inseriti cioè nell’ultima lista dei convocati di Mancini: Sandro Tonali e Alessandro Florenzi. In Germania nel 2006 erano cinque i milanisti scelti da Marcello Lippi (Nesta, Pirlo, Gattuso, Gilardino e Inzaghi), almeno quattro dei quali titolarissimi a Milanello. Tra Tonali e Florenzi solo il primo gode, se a disposizione, dello status di “intoccabile”.
C’era una volta l’Italia mondiale…
Delusione mondiale e autocritica: la grande Italia non c’è più, ora va ricostruita
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Guardare dentro la bolla per farla scoppiare è un dovere di tutti, di chi amministra, di chi sceglie e decide, di chi come noi osserva, descrivere, analizza e si permette di criticare. Bisogna con urgenza tornare ad avere coraggio, ecco cosa serve, coraggio nell’investire sui giovani, sui nostri ragazzi, sui talenti delle categorie più periferiche. Lo si dice da troppo tempo ormai, parole fin qui però lasciate al vento.
Alla nazionale servono ragazzi, uomini con esperienza europea, che abbiamo già assaporato la paura sportiva di certe pressioni e che sappiano anche solo in parte come gestirla. Dai centri tecnici di provincia al vertice della piramide vanno trovate risorse nuove e metodo. La fase post pandemia può essere un’opportunità. Ci vuole tempo ma certi meccanismi è fondamentale ritrovarli. Se in Serie A e in Serie B non si vuole rivoluzionare gli undici titolari con una quota minima di giocatori italiani, almeno lo si faccia nella costruzione delle seconde linee puntando su talenti provenienti dai nostri vivai. La scelta non è ricca, è vero, ma nemmeno così scadente e scarsa come si vuole pensare. Un passo dopo l’altro, svegliamoci, è arrivato il momento di ricostruire.




