Franco Baresi non è stato solamente un capitano, è stata un’autentica bandiera del nostro calcio e un difensore. Sì, ma difensore di che cosa? Non si parla solo di un ruolo in campo, si parla della difesa dei propri ideali, di difendere la propria causa…difendere la propria gente andando a battere un rigore pesante quanto un mattone. Anche se sei stato operato solamente due settimane prima e teoricamente non dovresti nemmeno essere lì. Tanti auguri immenso numero 6!
Franco Baresi: l’anima del Mahatma
Lo ribattezzò così Carlo Pellegatti, lo stesso Pellegatti che si trovò costretto a seguire l’addio di Franco, nel 1997, da un albergo a Mosca per visionare una partita dell’Italia in fase di qualificazione ai mondiali francesi dell’anno successivo. Era presente invece allo stadio il giorno del suo esordio, vent’anni prima a Verona. Quando il Barone Nils Liedholm, dopo aver già portato a Milano un certo Rivera, decise di fare esordire il giovane bresciano. Farà lo stesso qualche anno dopo con un altro storico capitano di nome Paolo. Baresi scese in campo con la maglia numero 6 che non lascerà più. Neanche quando quella squadra leggendaria fu sul filo del rasoio e retrocedette in Serie B. Ma all’anima del Mahatma tutto questo non toccò minimamente, rimanere al Milan non fu mai un obbligo, o peggio ancora un peso, fu un privilegio.
Franco Baresi: i l virus e l’essere uomini prima che calciatori
Vent’anni di carriera, dal 1977 al 1997, da “Piscinin” a “Kaiser”. È stata una giostra di emozioni la carriera di Franco Baresi. Sul finire del 1981, un raro virus lo colpì e lo costrinse per un mese in sedia a rotelle. Tanta paura, ma per fortuna, a fine del gennaio 1982, Franco tornò in campo e da vero capitano affondò con la sua nave. Quell’anno infatti il Milan retrocedette di nuovo, quella volta sul campo. Tutti lo vollero, sopratutto la Juventus, Farina ormai non aveva più i fondi economici adatti per gestire il Club e l’accordo tra le società sembrò vicino, ma Franco rispose con un secco “no”. Saper resistere ai tempi negativi in attesa di quelli migliori è una virtù che pochissime persone hanno. Franco era capitano umanamente, prima che sul campo.
Franco Baresi capitano Milan: le vittorie sacchiane e quello storico salvataggio
Anni dopo, forse pensando al passato, dopo la finale vinta con lo Steaua dirà: «Non avrei mai pensato di poter alzare una Coppa dei Campioni». Almeno qui un errore lo commise, perché ne alzò altre due, una da squalificato nel 1994. Sul piano tecnico va ricordato uno storico salvataggio. Era il 1993, si giocava Milan-Torino, al 90′ il risultato era in bilico 1-0. Aguilera, attaccante sudamericano dei granata, si presentò, dopo un rapido scambio col compagno, a tu per tu con Sebastiano Rossi. Stava per calciare e probabilmente pareggiare la partita, ma Baresi da dietro arrivò come un fulmine e gli tolse la sfera in quel nanosecondo che avrebbe potuto cambiare l’esito della partita. Tra il boato di San Siro, che fece partire il coro “Un capitano! C’è solo un capitano!”
Franco Baresi capitano Milan: tra le stelle d’America
Sarebbe potuto essere il mondiale degli azzurri. L’Italia voleva vendicare la maledetta semifinale di quattro anni prima contro l’Argentina nel tempio di Diego Maradona, persa ai rigori. Era il 1994 e le note di Bruce Springstean, “Born in the U.S.A”, facevano da colonna sonora al mondiale americano. L’Italia vinse praticamente tutte le partite e, tra il duello Sacchi-Baggio e le continue vittorie azzurre, passò sorprendentemente in secondo piano il grave infortunio di Franco Baresi durante il match con la Norvegia. L’Italia approdò in finale contro il Brasile. Non era il solito Brasile, i verdeoro si presentavano qualitativamente inferiori al team italiano. L’Italia poteva farcela. A Franco provarono a far fare di tutto, anche la riabilitazione in piscina tanto la sua presenza era considerata indispensabile. Ma c’era un problema: Franco non sa nuotare. In qualche modo però bisognava fargli giocare la partita, così il capitano si mise il salvagente addosso e mosse le gambe in acqua. Non poteva abbandonare la nave, come detto prima. Anche perché, per lui, buttarsi in mare sarebbe stato quasi un suicidio. Battute a parte, quella finale si chiuse 0-0 e l’ombra dell’incubo di 4 anni prima cadde sugli azzurri, perché si andò ancora ai rigori. Di nuovo lì, da quel maledetti 11 metri. Baresi impiegò appena tre minuti dei centoventi giocati per far capire a tutti che, pur avendo una gamba in meno, era quello di sempre. I compagni lo vedevano come un leader carismatico, e leader carismatico fu anche in quell’occasione. Si caricò sulle spalle il peso del primo rigore, gli passò davanti l’intera carriera, dall’esordio a Verona fino a quel salvataggio col Toro. Com’è strano e beffardo il destino, lui i rigori li aveva sempre tirati allo stesso modo: forti e centrali. «Franco, perché gliel’hai piazzata?» esclama Costacurta dalla panchina. Baresi si buttò a terra, per la prima volta sembrò inerme alle avversità della vita. Taffarel gliel’aveva parato. È finita, l’Italia perde il mondiale. Sarà un momento indelebilmente negativo nella carriera di Baresi, ma non potrà mai e poi mai cancellare quanto di buono ha fatto uno come lui.
Franco Baresi capitano Milan: 6 per sempre!
28 Ottobre 1997. Franco sta girando il campo tra le lacrime sue e dei suoi tifosi. È l’amichevole d’addio, accompagnata dal brano “Grande grande grande” di Mina. A rendergli omaggio c’è l’intero mondo calcistico, da Zico e Romario (suo avversario negli States) fino a Hierro e il rivale nerazzurro Bergomi. Per non parlare di Van Basten, Gullit, Rijkaard, Ancelotti ,Weah e Sacchi e Capello in panchina. Ci sono davvero tutti. 6, come il numero della maglia. 6, come il numero della bandiera diventata ormai icona della Curva più bella del mondo. 6, come il numero degli scudetti vinti. 6, come quel 6 accompagnato da uno 0 che oggi lo festeggia in tutto il mondo rossonero, e non solo. 60 anni all’insegna del Milan.
Tanti auguri immenso e unico Capitano!




