Il casting del Milan per l’allenatore del futuro sembra aver ristretto il cerchio a due candidati, ecco di chi si tratta…
Nella lista dei possibili allenatori per il Milan che verrà ci sono anche loro. Entrambi propongono idee e innovazioni, sono molto apprezzati in patria e hanno avuto alti e bassi in carriera. Emery a Siviglia fu a un passo da diventare “Top”, per poi scoprirsi poco più di un “Flop” a Parigi e a Londra, Marcelino invece fu accostato all’Inter che gli preferì “il profeta olandese” De Boer. Entrambi, con 10 anni di differenza, sono cresciuti sotto le macerie della Spagna franchista.
Marcelino Garcìa Toral nasce a Villaviciosa, a Nord della Spagna, nel pieno della dittatura di Francisco Franco. Ha trascorso tutta la sua carriera da allenatore senza mai uscire dai confini nazionali, anche se avrebbe potuto scegliere di farlo. Già, perché nel 2016 Roberto Mancini lasciò da dimissionario l’Inter e Marcelino divenne uno dei principali candidati a guidare la panchina nerazzura. Gli verrà preferito Franck de Boer, ma non finirà lì. L’olandese venne infatti esonerato prima ancora di iniziare e Marcelino finì nuovamente sul taccuino dei dirigenti interisti. Quella volta gli verrà preferito Stefano Pioli.
La carriera da calciatore di Marcelino inizia e si conclude a 28 anni. È un buon centrocampista, ma un grave problema al ginocchio gli fa appendere gli scarpini al chiodo prematuramente e iniziare così la vita da allenatore, che potrebbe portarlo, dopo innumerevoli tentativi dei cugini, finalmente a San Siro. Il primo grande salto arriva nel 2005-2006. Marcelino trascina il Recreativo de Huelva in Liga dominando il campionato di Segunda division con 78 punti, l’anno dopo arriva un’inaspettato ottavo posto e vengono sfiorate le coppe europee. Da quel momento tutti cominciano a parlare di lui.
Ma quello non è l’unico miracolo del Recre. In quella stessa stagione Marcelino demolisce letteralmente il Real Madrid di Fabio Capello, 3-0, si giocava al Bernabeu. Gli andalusi hanno il miglior attacco e la miglior difesa del campionato, un altro record battuto. Lo stile di gioco è molto ben collaudato e dura tutt’oggi. Un 4-4-2 solido e di contropiede. L’avventura in Andalusia è stupenda, ma Marcelino sente che deve cambiare aria. Arriva il Racing Santander e ovviamente anche lì compie un’impresa.
Raggiunge un sesto posto che vale la prima storica Coppa Uefa dei neroverdi. Ancora una volta la squadra è solida, terza miglior difesa del campionato (spicca un giovanissimo Ezequiel Garay e poco altro), a dimostrazione del fatto che Marcelino in un club la mano ce la mette sempre. Ancora una volta però decide di andarsene. Conosce le difficoltà di superarsi a Santander. Nel 2008-2009 fa tappa al Real Saragozza, appena retrocesso. Ha offerte anche da Valencia. Ma ambizioso com’è sposa il progetto e riporta subito il club nella Liga. Valencia tornerà nella sua carriera.
In attacco il tecnico decide di puntare tutto su un giovane argentino di Avellaneda che l’anno prima non figurò per niente bene, porta già il 22 e in Spagna ci tornerà solo per scrivere la storia con la seconda squadra milanese. Si chiama Diego Milito. In mezzo al campo promuove dalla primavera Ander Herrera e affida a Gabi (capitano dell’Atletico fino a pochi anni fa) le chiavi della squadra. Tutti in Liga, felici contenti e tornati tra i grandi. Sì, ma il secondo anno è un disastro. Esonerato poco prima di Natale. Non è un rimpianto, perché il Siviglia (che rivedremo anche affiancato al secondo protagonista di questo articolo) alza la cornetta e digita il numero telefonico di casa Marcelino, che questa volta non può rifiutare e fa il salto nel grande club.
Purtroppo per lui, a Siviglia comanda Monchi. Un dirigente che coi suoi grandi colpi di mercato si è guadagnato legittimamente il potere di gestire chi parte e chi arriva, e ordina a Marcelino di cambiare modulo. Esonerato ancora una volta. Riparte da Villareal e promuove la squadra nella Liga: inizia un ciclo importante per il sottomarino giallo. Da neopromosso vola in Europa e diventa l’uomo del momento, lo stesso fa anche l’anno successivo, eliminato in semifinale nella Copa del Rey.
La squadra cresce sempre di più, e l’anno prima della famosa chiamata dell’Inter arrivano i preliminari di Champions con annessa semifinale di Europa League persa contro il Liverpool di Klopp. Paradossalmente però l’ambiente non è del tutto dalla parte del tecnico. All’ultima giornata il Villa è già in Champions, deve giocare contro il Gijòn impegnato nella lotta salvezza e perde malamente 2-0. Marcelino viene accusato di aver perso apposta (lo Sporting Gijòn è stata la squadra dei suoi esordi calcistici) contro la sua squadra del cuore, la goccia che fa traboccare il vaso arriva il 10 agosto, poco prima dei preliminari contro il Monaco.
La causa è una rissa col capitano della squadra, con l’allenatore “colpevole” di avergli tolto la fascia. Quel capitano è Mateo Musacchio. Marcelino si dimette poche ore dopo. Firma per il Valencia (arriviamo ai giorni nostri) e nell’arco di tre anni porta i Blanquinegres stabilmente in Champions League. È stato esonerato a dicembre perché, come dice lui, ha vinto la Coppa del Rey e «avevamo ricevuto dei messaggi diretti e indiretti che dicevano di trascurarla». Molti lo definiscono un difensivista, un cholista, uno che non fa “bel calcio”. Molti si dimenticano che il “bel calcio” non è il Tiki-taka o altre favole simile, ma è l’ottima fase difensiva e la buona fase offensiva. L’Italia col catenaccio ha vinto quattro mondiali. L’opzione Marcelino potrebbe piacere al Milan.
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Unai Emery è più conosciuto rispetto a Marcelino. Cresciuto vicino a Bilbao, Blanquinegres è nato sul tramonto della Spagna franchista. Emery ha vinto tanto, dalle clamorose tre Europa League consecutive a Siviglia fino al campionato col Psg di Neymar e Mbappè. Sembrava potesse diventare uno dei migliori allenatori al mondo ma così non è stato. Sotto la Tour Eiffel arriva con molte aspettative e non riesce a rispettarle. Rimarrà per sempre impressa nella sua testa la famosa “remuntada” del Barcellona al Camp Nou, coi catalani che negli ottavi di Champions riuscirono a ribaltare il 4-0 dell’andata con un 6-1. Stagione 2016/2017.
A Londra lo porta Ivan Gazidis poco prima di trasferirsi a Milano. I primi mesi sono positivi grazie alla sua l’idea di calcio rischiosa basata su un 4-3-3 molto offensivo. Unai firma il record di punti consecutivi nella storia del club ma perde con quasi tutte le big e non riesce a centrare la qualificazione in Champions. Prova a rifarsi in Europa League: lì supera il Napoli di Carlo Ancelotti e arriva alla finale di Baku affrontando il derby londinese col Chelsea di Maurizio Sarri.
Emery potrebbe raggiungere il record e diventare l’unico allenatore della storia del calcio ad alzare al cielo quattro Europa League, ma quattro saranno invece i gol del Chelsea: 4-1 senza storia per i blues e da lì per lui inizia il crollo. Dopo quella sera qualcosa nello spogliatoio si rompe, i giocatori smettono di seguire lo spagnolo e i tifosi cominciano a rumoreggiare. Insorgono i primi #EmeryOut usati anche per il predecessore Wenger e il divorzio a stagione in corso diventa inevitabile.
A differenza di Marcelino, Emery ha vinto molto di più, ma allo stesso tempo ha bisogno di giocatori che possano seguire la sua idea di calcio. E questo, che piaccia o meno, al Milan manca. Per questo la scelta secondo noi più appropriata, qualora i due allenatori finissero veramente sul tavolo delle valutazioni di Casa Milan, porta alla politica difensivista di Marcelino. Una scommessa certo, ma – ribadiamo, secondo noi – anche l’opzione più logica.