Al Milan di oggi non serve il pugno duro di Paulo Fonseca e non basta nemmeno uno Zlatan Ibrahimovic così. Serve una società forte…
Mettici un po’ di sfortuna, aggiungici l’assenza di un paio di giocatori pesanti, però quel senso di fatalismo che ha dimostrato il Milan nella partita persa con il Napoli è un ulteriore segnale preoccupante di questo stentato avvio di stagione, quasi un déjà-vu della sfida di Champions League a Leverkusen.
Insomma, la squadra si impegna, crea buone occasioni, ma al 90esimo minuto c’è sempre un qualcosa che manca. Hai subito un goal poi l’altro e nonostante l’impegno profuso, magari un pochino disordinato, non sei riuscito a raddrizzare il risultato e intanto i punti se ne vanno e il distacco dai primi posti si allunga.
L’immagine di questo senso di rassegnazione è rappresentata proprio da Paulo Fonseca, l’allenatore gentiluomo che manca completamente di empatia, di immedesimazione dentro la partita, trasmettendo un senso di smarrimento che ,unito a qualche mediocrità tecnica, fa si che il Milan dia l’impressione di essere spesso una formazione rabberciata priva di una fisionomia precisa di gioco.
Vuoi per le assenze, vuoi per gli ”azzardi” più o meno dettati da “punizioni” o mancanza di fiducia, sta di fatto che la squadra non riesce a dare un senso compiuto a questo inizio di stagione. Il portoghese, anche nelle sue pose a bordo campo o nelle dichiarazione del pre e post partita, da la sensazione di non avere la necessaria autorevolezza che il ruolo gli impone e che le ambizioni della società gli demandano.
Milan, l’assenza di Zlatan Ibrahimovic fa discutere
Milan, non basta un Zlatan Ibrahimovic a fare primavera…
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Qui entra in gioco pure una dirigenza che, come molte di quelle a stelle e strisce, non ha ancora compreso che il calcio non è un business contabile che puoi gestire solo con criteri aziendali, ci devi mettere passione, entusiasmo, senso di competizione e capacità di sentire l’ambiente, e per questi fattori tipicamente calciofili non basta un Ibrahimovic a fare primavera.
Quel “non abbiamo bisogno di un manager”, che lo svedese si è lasciato scappare quest’estate, motivando la scelta di Fonseca piuttosto che di altri papabili pretendenti alla panchina del Milan, in primis tal Antonio Conte, la dice lunga della sua volontà di essere lo one man show, non avere intorno gente che potrebbe offuscare la sua immagine, rompergli le scatole e andare in pressing se le cose non vanno sia nello spogliatoio sia in ambito societario.
Si è preferito perciò un tecnico brava persona, discreto allenatore ma dal carisma zero per permettere cosi a lui e al suo sodale Furlani, di poter fare il bello e cattivo tempo nel ruolo di burattinai. Peccato che i tanti bassi e i pochi acuti di questo inizio abbiano smascherato il teatrino e logorato il taumaturgico slogan “tranquilli domani parla Ibra”.
Messaggio stimolo che non è più sufficiente per rimettere in sesto un cammino fin qui zoppicante. Anzi, a questo punto, proprio per non peggiorare la situazione, sarebbe opportuno archiviarlo per sempre per il bene di tutti.