Il giornalista, volto noto di Mediaset: «Sempre grato a Berlusconi. Gli chiesi: “Ma è vero che prendiamo Totti?” Mi rispose: “Le bandiere degli altri vanno rispettate”. Tifo Milan grazie a Rivera. Il mio idolo? Giorgio Ghezzi. Sono molto legato a Gipo Viani, figura carismatica alla Galliani, e per lo spirito battagliero a Romeo Benetti, una specie di Gattuso ante litteram. Maldini? Mi mancano gli italiani nel mio Milan. RedBird? I sentimenti dei tifosi sono una voce del bilancio».
Giornalismo, politica estera e…Milan. Tre passioni, tre vocazioni di una grande esistenza, quella di Toni Capuozzo. Curriculum giornalistico semovente, cronista (non solo) di guerra, come tiene a sottolineare, volto noto delle reti Mediaset. Autore, giusto un mese fa, di una commovente lettera di addio a Silvio Berlusconi, il “Presidente”, appellativo che a Capuozzo rievoca «più che Palazzo Chigi, le tante Coppe Campioni di Casa Milan».
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«Berlusconi unico per lealtà e correttezza sportiva»
Capuozzo, è già passato un mese dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, al quale la legavano tre grandi passioni: giornalismo, politica estera e Milan…
«Non vorrei vantare una prossimità, che non avevo, con il presidente Berlusconi. L’ho incontrato tre volte nella mia vita, ho parlato qualche volta con lui al telefono. Purtroppo non ero mai in redazione quando Berlusconi passava a fare gli auguri di Natale, perché ero inviato all’estero. A Berlusconi sarò sempre grato per per la libertà che mi ha lasciato in 25 anni di lavoro in Mediaset, dove ho ricevuto una sola chiamata di rimbrotto, non da Berlusconi, perché in un collegamento non avevo la cravatta. Di Berlusconi ho sempre apprezzato questo suo non sentirsi sopra un piedistallo».
Un aneddoto personale che ricorda con affetto?
«L’ho incontrato in Giordania, al termine di un incontro privato. Berlusconi mi prese sotto braccio e, approfittando del clima disteso, gli chiesi: “Ma è vero che prendiamo Totti?” E lui ricordo mi disse: “No, le bandiere degli altri vanno rispettate”».
(Non) proprio come oggi…
«Questo la dice lunga sulla sua lealtà e correttezza sportiva. D’altra parte, Berlusconi è la persona che ha ricoperto più a lungo la carica di Presidente del Consiglio, però, come abbiamo visto anche durante i funerali in Duomo, quando si è alzato il coro “c’è solo un Presidente”, tutti noi abbiamo inevitabilmente pensato al Milan».
«Tifo Milan grazie a Rivera. Il mio idolo, il portiere Giorgio Ghezzi»
Lei chiaramente è tifoso rossonero da prima che Berlusconi diventasse presidente del Milan?
«Sì, certo. Da quando avevo 8 anni e vidi Gianni Rivera da vicino, a Udine, durante un’amichevole della nazionale contro l’Austria. Quella fu la spinta a tifare Milan. Sono molto affezionato al Milan di Nereo Rocco, di Cesare Maldini e del mio idolo, il portiere Giorgio Ghezzi, perché anch’io facevo il portiere. E ricordo ancora la prima Coppa dei Campioni vinta contro il Benfica, rimasi attaccato alla radio…»
La figura alla quale è più legato di quel Milan?
«Il personaggio a cui sono più legato di quel mio primo periodo da tifoso del Milan, è Gipo Viani, una figura carismatica alla Galliani, per intenderci. Formalmente era direttore tecnico del Milan allenato da Nereo Rocco, che vinse la prima Coppa Campioni nel 1963, ma era anche molto mediatico».
Da tifoso della squadra dei proletari, come ha vissuto l’avvento di Berlusconi alla presidenza del Milan?
«Non ha avuto alcuna influenza sulla mia passione sportiva, anche perché male non è andata. Da tifosi non potevamo chiedere di meglio, dopo il periodo buio di Farina».
Milan, Capuozzo: «Dispiace non ci sia un gruppetto italiano»
Per la prima volta dopo 67 anni, al Milan non ci sarà un rappresentante della famiglia Maldini. Cosa ne pensa?
«Mi dispiace molto. Sappiamo tutti cosa rappresenta il nome Maldini per il Milan, a partire da Maldini padre. Anche se la cosa che mi dispiace di più è che non ci sia un gruppetto italiano anche in campo. Il Milan nella sua storia ha sempre avuto una “pattuglia” di italiani, pensiamo a Baresi, Costacurta, Maldini e Ancelotti. Gattuso e Colombo, ad esempio, sono giocatori che non compreresti all’estero, ma incarnano valori importanti e sono essenziali nel dare equilibrio alla squadra».
Come ha vissuto l’allontanamento di Maldini da parte della proprietà?
«Molto male. Il proprietario ha sempre mille ragioni, ma il calcio non è un’azienda e basta. I sentimenti dei tifosi sono una voce del bilancio, sono un dato tecnico, non sono solo un particolare romantico. È sotto gli occhi di tutti come la precedente campagna acquisti non fosse stata particolarmente felice, da Origi a De Ketelaere. Però gli abbagli della scorsa campagna acquisti dobbiamo compensarli con altri precedenti arrivi, da Leao a Theo Hernandez».
Cosa ne pensa della presa di posizione di Diego Abatantuono “dimessosi” da tifoso rossonero dopo la cessione di Tonali? E cosa ne pensa della sua provocazione: “Le squadre non dovrebbero avere più tifosi, ma commercialisti”.
«Tu divorzi, ma non smettono di piacerti le donne. Come passano i giocatori, anche i dirigenti passano, resta la squadra».
Come risponde a chi ritiene che l’obiettivo di RedBird sia “vendere e fare soldi”?
«È ovvio come una proprietà americana fatichi ad indossare perfettamente l’identità di lungo corso di una squadra italiana. Il fatto che abbia una redditività dell’investimento al primo posto mi pare abbastanza nella natura delle cose. L’importante la redditività dell’investimento vada di pari passo con le vittorie, che possono venire anche dalla scoperta di talenti che poi possono essere fruttuosi anche dal punto di vista del mercato. Ma la nostra storia più recente dimostra anche l’importanza di nomi pesanti, come quello di Ibrahimovic e dello stesso Giroud, da affiancare ai più giovani».
«L’assenza di Maldini peserà più di quella di Ibra»
Tra gli addii di Ibra e Maldini, quale secondo lei peserà di più?
«Peserà sicuramente di più l’addio forzato di Maldini. Ibrahimovic, quello che poteva seminare in questi anni in termini di mentalità e valori, penso l’abbia fatto. Bisognerà vedere il ruolo che verrà giocato da Baresi».
Che effetto le hanno fatto le immagini del raduno di lunedì con a bordo campo Moncada e Scaroni?
«Il tempo passa, chiaro che ogni milanista continuerà ad essere affezionato a Galliani e a Maldini. Penso che passare per il Milan voglia comunque dire qualcosa sia per chi ci passa, pensiamo ad Inzaghi e lo stesso Ibrahimovic, ma anche per noi tifosi che rimaniamo ancorati a determinate figure. Io penso sempre a Lodetti, ma anche al regista Dino Siani, che era il nostro piccolo Suarez».
Il calciatore del Milan a cui rimane più legato?
«Se devo andare all’infanzia, il giocatore a cui mi ispiravo di più, per lo spirito battagliero, era Romeo Benetti, una specie di Gattuso ante litteram. Poi ogni anno abbiamo il nostro giocatore simbolo. Non può mancare Van Basten, ma io ricordo anche Amarildo e il mitico José Altafini».
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«Pioli? Rispettosa rivincita nei confronti di Maldini»
Cosa ne pensa delle dichiarazioni di Pioli sul rapporto con Maldini? Ha confermato le indiscrezioni di un rapporto divenuto conflittuale da quando lo stesso Pioli decise di schierare la difesa a tre. Tanto è vero che fonti vicine al Milan parlavano di un Maldini intenzionato a cambiare allenatore, ricorderà, si fece il nome di Pirlo…
«Molto diplomatico, ma il sapore di una rispettosa rivincita nei confronti di Maldini traspariva dalle parole di Pioli».
C’è un giocatore che le piacerebbe vedere in rossonero?
«Frattesi mi piaceva, ma il prezzo lo considero elevato per quello che ha dimostrato fino adesso. Milinkovic Savic è da diversi anni che lo vedrei proprio bene in rossonero».
Milinkovic Savic ormai è destinato all’Al-Hilal. Ecco, la preoccupa la sfida lanciata dall’Arabia Saudita al mondo del calcio? Come possiamo inquadrarla?
«Preoccupa perché è la conferma di qualcosa che abbiamo visto tutti nel calcio degli ultimi decenni: il potere dei soldi. È chiaro che se vai a giocare a poker con 50 euro e quello di fronte a te ne ha 5mila, non c’è partita, anche se il calcio non fa parte della cultura di quei paesi. Consoliamoci con il fatto che i soldi non assicurano il successo, basti pensare al Psg che ancora non ha vinto nulla a livello internazionale. L’aspetto positivo è l’ingresso di soldi in mercati che hanno una forte identità, come quello inglese e italiano. Mentre in Arabia i giocatori vengono pagati come fossero un grande torneo di tennis».
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